Thomas Edison è morto nel 1931, eppure suo malgrado ha avuto un ruolo nella lotta alla pirateria informatica. Potremmo dire che è stato il primo avversario di una guerra iniziata con l’invenzione del cinetoscopio, e inaspritasi poi con la nascita di Napster nel 1999. Cosa c’entrano le due cose?

Sto guardando Netflix. Un messaggio sul cellulare da parte della banca mi informa che sono stati prelevati dal mio conto i soldi per il rinnovo annuale di Amazon Prime, a cui è collegato Amazon Prime Video. Qualche anno fa col cavolo che avrei pagato per vedere un film, una serie, un videogioco per pc o Playstation, per ascoltare una canzone. Ma che mi è successo? Io… io sono figlio di Napster, sono più legato emotivamente all’asino di Emule che al logo della Nike. Ma che ne sanno i duemila di Emule, GNutella e gli gli altri siti che hanno reso meno costosa la nostra adolescenza.

Che siano pagine facebook, account Instagram e Twitter, che siano italiani e stranieri, il punto è sempre quello: le pagine “ma che ne sanno i duemila” mostrano oggetti ormai scomparsi, reliquie con un passato di gloria ormai sepolto in fondo a cassetti, dentro gli armadi, tenuti un po’ per ricordo, un po’ per nostalgia. Musicassette, VHS, floppy disk, le cartucce del Game Boy… il Game Boy.

Ma non ci sono solo oggetti scomparsi, ma anche intere culture. La tecnologia si evolve talmente rapidamente che l’accessorio per pc che hai comprato 10 anni fa non funziona sul tuo nuovo Mac. O la porta è diversa (che me ne faccio adesso di un trilione di cavi USB, ora che c’è la USB-C?, Per dire…).

E a fianco alle video cassette ed alla tessera del Blockbuster so che molti custodiscono anche alcuni siti, tipo Napster. Ma che ne sanno i duemila di Napster? Niente. Eppure Napster è successo ieri. Ora solo è un lontano ricordo dei trentenni imborghesiti che hanno appeso la bmx e lo snowboard al chiodo e si sono fatti l’abbonamento a Netflix, Disney+ e gli altri. La fine di un’era, la resa di parecchie (si parecchie, poi ti spiego) generazioni alla pigrizia, al conformismo, alla semplicità.

Napster era un programma che si scaricava gratuitamente, non aveva bisogno di abbonamenti, di carte di credito, iscrizioni; dovevi solo scaricarlo, installarlo e scrivere nella barra di ricerca il titolo di una canzone: Napster ti restituiva decine di risultati, ordinati per grandezza del file (era importante in un’epoca in cui dovevi aspettare 20 minuti per trasferire 2MB) e qualità audio.

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Una schermata di E-Mule
(FONTE: www.emule-project.net)

Sceglievi, cliccavi, aspettavi (nell’attesa mangiavi, per questo secondo me i nerd degli anni ’90 erano sovrappeso stile “uomo dei fumetti” dei Simpson, c’era un sacco da aspettare)… aspettavi ancora, e poi era lì: la tua canzone era lì, insieme al tuo album, scaricato gratis, senza dover andare a comprare un disco, senza dover pagare un abbonamento ad Amazon Music o Spotify; era gratis.

Mettevi tutto in una cartella, ed avevi la tua playlist. Gratis. Sempre. Per sempre.
Era la nuova pirateria, la presa di posizione di una generazione che nemmeno ci pensava a cosa stava facendo, in realtà erano persone che non avevano 50.000 Lire per un CD (sono 25€ al cambio, ma il costo percepito, in base al potere d’acquisto, era più vicino ai 50€ di adesso) e lo scaricavano. Immagina di dover pagare 50€ per sentire l’ultimo disco del tuo artista preferito. Daiiiii.

Napster si propagava, la salvezza per adolescenti squattrinati (ma in realtà anche i figli di papà lo usavano, eri scemo a non usarlo) ed il male assoluto per le case discografiche.

Pionieri dell’anti-pirateria furono 4 giovani al limite dell’indigenza, il gruppo musicale “Metallica  che avviarono una causa legale contro Napster. Fu solo l’inizio della fine del declino. In realtà non era solo una causa contro Napster, era una causa contro la pirateria informatica, contro una generazione, contro l’anticapitalismo, contro un modo di vivere la musica, i film, la cultura.

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Libro consigliato: CULTURA LIBERA, Lawrence Lessig. Tutto quello che c'è da sapere su Copyright e pirateria, dai libri ``piratati`` del 1800 ai film dei giorni nostri, passando per Edison, Disney e la corte suprema degli Stati Uniti.

Iniziò la guerra alla pirateria con sentenze memorabili: un ragazzina scarica canzoni per regalare alla nonna un CD; multata di 200.000$*. Il ceco Jakub F. venne condannato al pagamento di 5,7 milioni di corone (circa 200.000€) per lo stesso motivo, ma successe qualcosa.

Jakub non era in grado di pagare quella somma, quindi in cambio venne obbligato da Microsoft, HBO, Sony Music e Fox, a realizzare un video di accusa contro la pirateria informatica, nel quale si avvertiva ogni pirata dei rischi del crimine: ti tolgono tutto. Nemmeno la famiglia della ragazzina era in grado di pagare 200.000$, in banca avevano una somma di circa 64.000$, e dovettero pagare quella. Per aver scaricato da internet 10 canzoni, un impero multimilionario risucchio tutti (!!!) i risparmi di una famiglia. Era un segnale, bisognava far capire che la pirateria era un crimine punito severamente.

I casi di questo tipo aumentavano, ma era difficile individuare chi scaricava contenuti pirata per due motivi: numero uno, la tecnologia non era così raffinata ed onnipresente come oggi; numero due, ‘tutti’ scaricavano contenuti pirata. Iniziarono le pubblicità “la pirateria è come rubare”. I film noleggiati in videoteca iniziavano con un annuncio: “non ruberesti mai un’auto; non ruberesti mai uno stereo (e si vedevano immagini di ladri col passamontagna che rubavano)… scaricare musica è come rubare” (click qui per vedere il video).

La cosa estremamente divertente è che anche i cd pirata iniziavano con questo spot. Certo, chi copiava il disco poteva eliminare l’annuncio, ma quanto era figo guardare un film pirata che inizia dicendoti di non fare il pirata? Tra l’altro, adesso “film pirata” è sinonimo di bassa qualità, ma 20 anni fa era solo sinonimo di gratis.

Chi ha vinto?

Continua…

*FONTE: “Cultura Libera”: Lowrence Lessig – Apogeo, 2005