Può l’ambiente circostante influenzare il comportamento degli individui? Può una maggiore sensazione di controllo sui reati minori influire sulla riduzione di reati maggiori?

Sono queste le domande a cui hanno cercato di rispondere due studiosi statunitensi, James Q. Wilson e George L. Kelling. L’esperimento era molto semplice: due auto identiche vennero parcheggiate in due luoghi molto diversi; una venne lasciata a Palo Alto, ricca e tranquilla cittadina della California; mentre la seconda venne parcheggiata in una malfamata strada del Bronx, in una zona conflittuale del quartiere newyorkese.

L’auto a New York è stata rapidamente vandalizzata. Dopo poche ore vennero rubate le ruote poi, poco a poco, tutte le parti rivendibili dell’auto vennero sottratte, ciò che è rimasto venne distrutto. Contemporaneamente, l’altra auto rimase intatta. Una analisi superficiale porterebbe a dire che la ragione della differenza di trattamento sia “la povertà”. Ma fortunatamente Wilson e Kelling non si fermarono ad una analisi superficiale, e continuarono l’esperimento… rompendo un finestrino della macchina -ancora integra- parcheggiata a Palo Alto. In breve tempo, la dinamica newyorkese si verificò anche in California: l’auto venne smontata e vandalizzata; facendo cadere la tesi della povertà come ragione del degrado, ma spostando l’attenzione sulla questione ambientale.

L’esperimento ebbe una gran risonanza in ambito criminologico fino a quando nel 2008 Kees Keizer riprese in mano la questione, variando l’esperimento per dimostrare l’influenza dell’ambiente sul comportamento. I comportamenti antisociali, sono influenzati da disordine, imbrattamento, sporcizia e degrado dell’ambiente in cui questi avvengono?
Vennero scelti diversi luoghi urbani da usare come area-test. In una prima fase l’ambiente scelto venne mantenuto curato, pulito ed ordinato (intonaco e pittura sui muri in stato impeccabile, cestini de rifiuti svuotati regolarmente, niente sporcizia in giro). In una seconda fase, l’ambiente venne degradato: i muri imbrattati di graffiti (da specificare, graffiti brutti, non certo le opere d’arte presenti spesso sui muri di molte città), finestre rotte, rifiuti abbandonati ovunque. Il comportamento degli individui che frequentavano la zona era notevolmente diverso nelle due fasi: quando l’ambiente venne degradato, ci fu una progressiva diminuzione del rispetto delle regole. 

L’esperimento vene ripetuto negli anni seguenti con numerose varianti, tra cui il noto “esperimento carcerario di Stanford” e la variante del cartello affisso ad una ringhiera “non parcheggiare biciclette”, che dimostrava come questo venisse rispettato se la ringhiera era priva di biciclette, mentre non veniva rispettato se alla ringhiera erano già legate alcune bici.

Pertanto, i ricercatori diedero per dimostrata la tesi secondo la quale un ambiente curato e pulito porta ad una riduzione di comportamenti antisociali, come furti o vandalismo.

Secondo alcuni, la teoria della “finestra rotta” fu l’impulso che portò Rudolf Giuliani ad adottare la famosa “tolleranza zero” nei confronti dei piccoli crimini, con risultati contrastanti. Il primo scenario di applicazione fu la metropolitana di New York, tristemente famosa nei primi anni ’90 per un’escalation di violenza e criminalità. Giuliani impose un controllo serrato della metropolitana ma, invece che aumentare il numero di agenti di polizia presenti nelle stazioni, aumentò il numero di controllori di biglietti. Il risultato fu sorprendente: all’aumentare dei controlli relativi ai biglietti, oltre a precipitare il numero di persone sprovviste di biglietto, si assistette ad una drastica riduzione anche dei reati gravi come rapine, aggressioni e stupri.

I ricercatori attribuirono il fenomeno al “maggior senso di controllo percepito”, ovvero, se sono presenti controllori ovunque, e se il solo viaggiare senza biglietti è punito, ci sarà anche un maggior controllo sugli altri reati e illeciti.

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